Guido Strazza. il gesto e il segno
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Lunedì 28 novembre, ore 17.30, un convegno sull’arte e il pensiero di Guido Strazza, ospitato presso
l’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Roma, precederà l’inaugurazione, alle 18.30, della
mostra antologica «Guido Strazza. Il gesto e il segno» presso l’Aula Colleoni, con trenta dipinti,
incisioni e disegni, oltre alle 10 incisioni che l’artista ha donato all’Accademia, della quale è stato
docente e direttore. Mostra e catalogo (edito da De Luca) sono a cura di Gianluca Murasecchi,
artista e docente di Tecniche dell’incisione dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
La mostra intende celebrare uno dei maggiori artisti del ‘900 italiano, nonché teorico lucido del
mistero dei segni, in occasione del compimento dei suoi cento anni, il 21 dicembre 2022.
Lirico rigore e aerea profondità del suo “segnare” pittorico e grafico sono indagati nel catalogo da
saggi e testimonianze del curatore Gianluca Murasecchi, di Franco Fanelli, Giulia Napoleone, Lucia Tongiorgi Tomasi, Roberto Piloni, Alessandro Tosi, Marina Bindella, e da una preziosa intervista a Guido Strazza svolta da Flavia Matitti, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Al convegno interverranno, oltre al curatore della mostra, Cecilia Casorati, direttrice dell’Accademia
di Belle Arti di Roma, e Flavia Matitti.
La mostra sarà introdotta da una video-intervista all’artista realizzato da La mostra sarà introdotta da una video-intervista all’artista realizzato da Monkeys VideoLab..
Stracci dei testi in catalogo:
Gianluca Murasecchi:
«In questa esposizione si trattava di scegliere parti di un tutto o il tutto in parte, ha prevalso la
seconda ipotesi, seppur più difficilmente percorribile, essa, infine, si è sviluppata necessariamente
nel dare visibilità al dato delle variazioni sul tema, nell’offrire una panoramica sulle possibilità di
collegamento culturale, nell’analisi della multiformità dei linguaggi accesi da un unico fulcro di
concepimento, il segno, ponendo un possibile sguardo anche sul fattore progettuale e generativo
dell’opera di Strazza, ovvero, su disegni inediti, mai pubblicati ed esposti, che ci pongono innanzi ad
un cercare fulmineo, a tutto campo, a volte insistito sino alla soluzione caparbiamente trovata a
distanza di anni. Ne emerge la figura di un artista che ha scelto il dato grafico quale dato privilegiato
ma non posposto ad una pittura di velature e cromie di tempera. Pittura a tempera che ricorda quello
che si potrebbe definire un “Trecento contemporaneo”, composta da velature fini come gusci di
cipolla o materie magmatiche che catturano in profondità accensioni sotterranee, di sciabolate
sanguigne, che ci fanno sentire a pelle ogni materia sottostante. Vivezza opaca di colore che solo la
tempera sa trasmettere».
Franco Fanelli:
«Strazza è uno di quegli artisti che ci hanno consegnato il codice per decifrare attraverso i segni (i
segni sono sovente scrittura, o come tale sono organizzati) la realtà. Lo hanno fatto anche alcuni
poeti. Ma è troppo naïf sottolineare che quella realtà è Roma, città in continua sedimentazione,
fermentazione, conflitto, contraddizione, in cui il passato è a un tempo mito e suppurazione, storia
e perenne cronaca? È troppo banale o romanticistico contestualizzare Strazza in quella immane
stratificazione di segni ipersignificanti e culturalmente iperconnotati?»
Giulia Napoleone, artista:
«Mi piace rievocare come Guido si poneva di fronte alle lastre preparate. Un lungo tempo di silenzio
e concentrazione, gessetti spezzati nella maniera giusta, il corpo e il respiro diventavano «gesto»
che arrivava veloce, concreto, senza ripensamenti. Spesso partiva con una forte pressione per poi
alleggerirla del tutto o alla pressione iniziale seguiva un alleggerimento per poi tornare forte e
ripetersi così più volte. Le traiettorie erano rette, curve, miste, pesanti o leggere. Su queste
aggiungeva segni netti, forti e sicuri che definivano le immagini».
Lucia Tongiorgi Tomasi, storica dell’arte:
«Rivedere Guido, elegante e mite signore i cui occhi rivelano le profondità dell’animo, nel magico
ambiente del suo studio di Trastevere odoroso di inchiostri e vernici, tra le pietre tanto eloquenti di storia dell’antica chiesa Santa Maria in Cappella, ha rappresentato la sorpresa di un regalo inatteso. In quelle ore rapidamente volate, parole, ma soprattutto segni, hanno guidato la conversazione in un affascinante intreccio di temi e riflessioni che mi è arduo rievocare con distaccata obiettività».
Roberto Piloni, docente di Tecniche dell’incisione – Grafica d’arte, all’Accademia di Belle Arti di Roma:
«Con determinazione e fermezza Strazza ci ha sempre spinto a fare i conti con l’indispensabile e
l’essenziale, quale vera urgenza nei confronti di un “ricercare” vissuto come luogomentale, all’interno
del quale cisi potrà poi addentrare dipanando con naturalezza il gomitolo dei significati, delle ragioni,
delle intenzioni. Fare sempre ma senza fretta. Fare per sé, come forma di necessità interiore, come
impellenza intima, privata, appunto. Devo riconoscere a Strazza soprattutto l’insegnamento di
un’attitudine rigorosa e analitica nei confronti del linguaggio grafico e non solo, del quale gli sono
sinceramente debitore ancora oggi io stesso, come artista e come docente».
Alessandro Tosi, storico dell’arte:
«Nelle Trame converge, con chiarezza assoluta e rivelatrice, un profondo pensiero di segno, di
spazio, di luce. Dove le dimensioni delle lastre e dei fogli, espanse a sfidare i confini della pittura,
restituiscono il compiersi del gesto nella sua più piena estensione nello spazio. E dove le variabili
espressive dell’acquaforte, dell’acquatinta e della puntasecca, organizzate in complesso sistema di
scrittura, si fanno generatrici di luce. Come se il nero di Rembrandt e la linea di Piranesi si fondessero per comprendere Kandinsky, Mondrian, Fontana, Rothko… e altro, e oltre»
Marina Bindella, docente di Xilografia all’Accademia di Belle Arti di Roma:
«Nella vita di ogni artista ci sono evoluzioni del linguaggio e anche rielaborazioni di modi espressivi
appartenenti al proprio passato: mi sembra che il lavoro incisorio più recente di Guido sia
caratterizzato da un segno molto libero nel ductus che ricorda i suoi dipinti della serie dei Balzi Rossi, dei tardi anni ’50, di sapore ancora informale. Si tratta di puntesecche, dove il gesto si fa più evidente nella varietà e nella velocità del movimento, tracciando segni che si propagano, quasi come una scrittura, su una pagina bianca che non viene più fittamente riempita come in precedenza».